SERENDIPITY.
Se ne stava la a fissare quel biglietto d’aereo.
Pensava al volo che non avrebbe mai avuto il coraggio di
fare.
Non era più rientrato in Italia, sebbene il pensiero di
farlo l’aveva sfiorato più e più volte in quelle notti insonni e afose, quelle
in cui Morfeo sembra l’incarnazione perfetta e tangibile del tuo più acerrimo
nemico. Le più antiche leggende lo dipingono come
il dio del sogno, figlio della notte. Ma i sogni erano pietre sempre più rare
nelle sue lunghissime nottate, vissute come una lunga attesa scheggiata
dall’ansia, come quando sei in una sala d’attesa e un tuo caro si trova sotto i
ferri.
Così quel mese, aveva
mandato giù quell’amara pillola di coraggio e si era deciso ad
acquistare quel biglietto. Gesto
semplice, rapido, ma così pesante e carico di conseguenze che faceva
ombreggiare la paura sotto la suola delle sue scarpe non appena abbassava la
testa.
“Già un passo avanti, -penso’ fra se e se- del resto chi ben
comincia è a metà dell’opera”.
Opera di autoconvincimento direbbe piuttosto qualcuno.
L’importante è crederci. Ma molte volte non basta fare un passo se poi ne fai
subito dopo dieci indietro. Bisogna avere fermezza e procedere.
La paura contraddistingue i nostri più accesi desideri, ma
la maggior parte delle volte facciamo fatica a dirlo ad alta voce, anche solo a
noi stessi. La maggior parte delle volte le cose che più vogliamo si trovano al
di la del grande campo della paura. Ci danno appuntamento oltre il confine, sta
soltanto a noi trovare il modo di attraversare il campo.
Perché alla fine l’amore è come una droga, crea dipendenza,
e si guarisce il più delle volte ammalandosi d’altro. Peccato in quegli anni
lui non fosse riuscito ad ammalarsi di quell’”altro”, o almeno non
sufficientemente. Niente sembrava mai abbastanza.
Quando provi il miele migliore che tu possa trovare in
commercio è difficile poi tornare ad accontentarsi di un miele scadente trovato
al 50 per cento nel banco del supermercato sotto casa.
Tutti, in fondo, cerchiamo di guarire da qualcosa.
Ma la verità era che forse lui non voleva guarire.
Perché avrebbe dovuto farlo, in fondo? Era sempre stato
convinto che l’unico verso amore della sua vita fosse lei, nonostante tutto, e
che il filo di Arianna che li legava non si sarebbe mai potuto spezzare, riportandoli
in un certo senso sempre l’uno dall’altra. Che poi è buffo. Gli inglesi dicono in spite of everything , a dispetto di
tutto. Come se tutto ciò che avviene per ostacolare in qualche modo due persone
che si amano non possa servire a niente in confronto del dispetto che fa poi a
questi avvenimenti l’Amore, eclissando ogni turbamento o contrattempo.
Lui restava comunque uno degli ultimi romantici che credava
all’anima gemella, alla metà della mela platonica, chiamatela come volete.
Ma il destino puo’ tutto o dobbiamo muoverci noi? Dare una
mano? Era questo il dubbio che lo assiliva e che ritardava sempre la decisione
di utilizzare finalmente quel pezzo di carta.
Serendipidy, trovare una cosa cercandone un’altra solo per
pura casualità, destino, fato, i greci lo chiamavano tuke.
Restando fermi e immobili le cose che devono accadere
accadranno lo stesso?
Forse la soluzione del problema era smettere di farsi
domande e agire.
Ed effettivamente, agì.
Quella mattina afosa, afosa di quell’afa che le donne tanto odiano,
che ti rende i capelli come quando da ragazzina scendevi da una giostra e
sembrava che ti avessero messo una scopa in testa.
Agì.
Andò all’aereoporto e dopo due ore passate a fissare
l’insegna luminosa di un caffè per circa due ore decise di andare a prenderselo
il suo destino.
Aveva risposto alla sua domanda nel modo più semplice di
farlo, semplicemente seguendo l’istinto.
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