Manhattan, June, 7:59
AM
6 ore e 6.881,97 km.
4273.101 miglia.
9 ore di volo e circa 6 fusi di
differenza.
Tre anni trascorsi nel silenzio.
Prima le stagioni passavano a modo loro, contraddistinte da
colori, emozioni, persone.
Non importava a nessuno quando
arrivavano.
E soprattutto quando se ne andavano.
Seguivano il loro naturale corso ma erano sempre diverse.
Ora erano tutte uguali. Non c’era più l’estate, giugno non
era più giugno.
Perfino il Sole sembrava diverso.
Del resto in quell’ ammasso
di palazzi che sembravano voler sfidare il cielo apertamente era quasi
impossibile vederlo. Così come era impossibile vedere le stelle, la notte.
La loro funzione veniva assolta dalle luci della città.
“Niente è uguale a prima”.
Era questo il pensiero che gli ronzava in testa guardando
fuori da quel vetro di quel palazzo cosi alto.
Nella Grande Mela era l’ora del caffè, l’ora in cui la città
stava lentamente riprendendo i suoi ritmi anche se in realtà quasi non va mai
realmente a dormire, the Big Apple,
la città che non dorme mai.
C’era sempre qualcosa da fare, da vedere, da osservare.
I taxi che iniziavano a circolare, il rumore della folla che
si andava ad accalcare nella metro, le risate della gente, i tacchi delle donne
che andavano a lavoro, le serrande dei negozi, il suono dei clacson.
Era l’ora del solito caffè annacquato delle otto del
mattino, e mai come nel momento del caffè sentiva la mancanza dell’Italia, del
suo bar di fiducia in centro, della sua tazzina calda appena sfornata dalla
lavastoviglie, del profumo confortevole dei cornetti appena cotti, del profumo
di Lei, che era l’abitudine che più amava.
La colazione con Lei.
Ora invece a distanza di 6 ore e 6.881,97 km si ritrovava
a pensare a Lei che sicuramente stava correndo qua e la, in pausa pranzo,
mangiando il suo solito tramezzino al tonno, senza pomodoro, solo tonno. Perché
le piaceva così. E probabilmente lui era l’unica persona sulla faccia della
terra, oltre sua madre, a saperlo.
Il tempo, e la vita, non avevano cancellato il ricordo dei
suoi occhi.
“Cazzo, sono in ritardo. Maledizione!”
Rome, June, 13:59 PM
Ogni giorno la stessa storia.
Il suo problema non era arrivare tardi, ma il fatto che partisse già in ritardo. E quando parti tardi sei fottuto in partenza.
Ma nonostante le metro da prendere e le corse verso l'ufficio si concedeva sempre un pezzetto del suo poeta maledetto al mattino.
Una sorta di rito, tradizione, abitudine, vizio, coccola mattutina per fare da scudo al mondo e sgombrare la mente.
"Le persone con i piedi per terra dicono che l'amore è una follia. In realtà ciò che accade è che la fantasia violentemente distorta da immagini piacevolissime, dove ogni passo ti avvicina alla felicità, viene crudelmente riportata alla dura realtà".
Gustave il fiore del male la illuminava sull'amore quel giorno.
Ma nonostante lo adorasse non condivideva ogni suo pensiero. In particolar modo sull'amore.
Lei l'amore lo amava, ne era follemente innamorata, la chiave per aprire tutte le porte.
Nonostante fosse sola ormai da parecchio non smetteva di essere l'ultima romantica del mondo, Lei.
E mentre correva verso l'ufficio un pensiero volò lontano, assieme alla brezza leggera di giugno.
Il ricordo di lui era come il vento improvviso d'estate che ti accarezza le guance.
Se solo avesse saputo che anche i pensieri di lui viaggiavano ogni giorno attraverso gli stessi chilometri forse sarebbe successo tutto molto prima, chissà...
V.